Nelle gare pubbliche di appalto, pur essendo ancora vigente l’art. 72 del R.D. n. 827 del 1924 (“quando in un’offerta all’asta vi sia discordanza tra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’amministrazione”), che così si sovrappone al d.P.R. n. 207 del 2010 (il quale prevede al comma 2, che “in caso di discordanza prevale il prezzo indicato in lettere”), il primo criterio si applica alle procedure di evidenza pubblica aventi ad oggetto la stipula dei contratti passivi, come la vendita o la locazione di beni, mentre il secondo si applica ai contratti aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori ed opere disciplinati dal D.Lgs. n. 163 del 2006.
La disposizione dell’art. 72, R.D. n. 827 del 1924 e quella dell’art. 119 del d.P.R. n. 207 del 2010 rispondono a due esigenze diverse: la prima soddisfa, infatti, l’interesse economico-finanziario dell’Amministrazione reso evidente dal suo inserimento all’interno di un sistema finalizzato all’amministrazione del patrimonio e alla contabilità generale dello stato, per cui diventa ragionevole addossare sull’operatore il costo dell’errore in sede di compilazione dell’offerta; la seconda soddisfa, invece, la ratio ispiratrice dell’intera normativa del settore dei contratti della pubblica amministrazione in attuazione anche della disciplina comunitaria, orientata alla tutela della concorrenza e alla valorizzazione della par condicio degli operatori economici, quale strumento per rendere virtuoso il sistema economico nel suo complesso.
Nelle procedure di aggiudicazione dei lavori, servizi o forniture le stazioni appaltanti tramite le commissioni giudicatrici possono correggere le divergenze riscontrate tra offerte indicate in cifre e offerte indicate in lettere solo quando vi sia ragionevole certezza della percezione dell’effettiva volontà espressa, senza che al risultato contribuiscano fonti di conoscenza esterne all’offerta medesima o dichiarazioni integrative o rettificative dello stesso offerente (che non sono ammesse).
Altrimenti, ferma la tematica dell’errore ostativo, applicabile anche alla manifestazione della volontà nei contratti pubblici, va valorizzata l’offerta espressa in lettere come frutto di maggiore ponderazione da parte dell’offerente ed espressione di un criterio più generale utilizzato in altri ambiti dell’ordinamento. La prevalenza dell’art. 119 del d.P.R. n. 207 del 2010 rispetto all’art. 72 del R.D. n. 827 del 1924 nel sistema dei contratti aventi ad oggetto l’acquisizione di beni, servizi e lavori risponde anche al criterio ermeneutico generale per cui “lex specialis derogat legi generali” e altresì “lex posterior generalis non derogat legi priori speciali“.