APPALTI: “il giudice amministrativo è competente per dichiarare la caducazione o l’inefficacia del contratto di servizio di un affidamento in house

I giudici del Tar Lombardia, con la sentenza n. 1781 del 2016, hanno dichiarato ex officio competente il giudice amministrativo, richiamando l’assunto dell’Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 22) secondo il quale nell’alveo della nozione di “procedure di affidamento” debba ricomprendersi anche l’affidamento di servizi mediante concessione, dovendosi intendere il termine “affidamento” come riferito all’atto «con cui, contestualmente, la pubblica amministrazione sceglie il suo contraente e gli attribuisce la titolarità del relativo rapporto. La valenza generale del termine, quindi, deve intendersi come comprensiva di tutte le tipologie contrattuali in relazione alle quali resta logicamente concepibile un affidamento e, quindi, sia degli appalti che delle concessioni».

La pronuncia giurisprudenziale prende le mosse dall’esclusione di una società che ha svolto la gestione del servizio idrico fino a quando l’amministrazione ha deciso di affidare la gestione del servizio a una società in house.

Il modello dell’affidamento in house per la gestione dei servizi pubblici locali è stato introdotto nell’ordinamento interno dall’art. 113, T.U.E.L., come modificato dall’art. 14 D.L. n. 269/03, convertito nella L. n. 326/03. Nel dettaglio, l’art. 113, comma 5, lett.c), T.U.E.L. ha espressamente stabilito che l’erogazione del servizio pubblico locale può avvenire attraverso il conferimento della titolarità del servizio “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”.

L’affidamento in house rappresenta una scelta discrezionale all’interno delle possibilità previste dall’ordinamento, ma altrettanto vero è che tale scelta deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano rispetto alle altre opzioni (cfr. Cons. Stato sez. V n. 4599/2014).

Per ciò che concerne l’interesse strumentale a ricorrere, la giurisprudenza ha sostenuto che “deve essere riconosciuto in capo a qualsiasi imprenditore del settore  potenziale concorrente che contesti il modulo organizzativo del “in houseproviding” con la conseguente possibilità di impugnare la scelta della stazione appaltante di disporre un affidamento diretto anziché ricorrere al mercato concorrenziale” (cfr. Consiglio di Stato sez. III 26 maggio 2016 n. 2228).

Pertanto, la decisione di affidare la gestione di un pubblico servizio ad una società in house deve sottendere alle disposizioni normative di riferimento. L’art. 34 del D.L. n. 179/2012 richiede che l’affidamento alla società deve essere corredato da una relazione coerente con la gestione affidata; l’art. 3-bis, comma 1-bis del D.L. n. 138/2013 come modificato dall’art. 1, comma 609, lett. a) della legge n. 190/2014 puntualizza che la relazione deve contenere un piano economico – finanziario che contenga la proiezione dei costi e dei ricavi, nonché degli investimenti e dei finanziamenti.

In sintesi, secondo l’orientamento dominante, la norma è “finalizzata a rendere trasparenti e conoscibili agli interessati tanto le operazioni di riscontro delle caratteristiche che fanno dell’affidataria una società in house, quanto il processo d’individuazione del modello più efficiente ed economico alla luce di una valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti” (T.A.R. Friuli Venezia Giulia – 26/10/2015 n. 468; T.A.R. Abruzzo Pescara – 14/8/2015 n. 349).

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