Il Tar Campania sez. Salerno, con la recentissima sentenza n. 1165 del 2016 ha chiarito che alle concessioni di servizi non si applica il codice degli appalti e conseguentemente non si applica la normativa recata nel Codice dei contratti pubblici in materia di dichiarazioni sugli oneri della sicurezza.
In particolare, si può ritenere che l’obbligo di indicare nell’offerta i costi di sicurezza aziendali, previsto a pena di esclusione per gli appalti di servizi e di forniture, non possa essere riferito anche alle concessioni di servizi in quanto esso non va a tutelare l’interesse primario della concorrenza e della pari opportunità tra operatori economici, ma tende essenzialmente alla tutela di un altro, seppur rilevante interesse, che è quello della tutela dei lavoratori, il quale, tuttavia, non può considerarsi estrinsecazione dei principi comunitari applicabili anche alle concessioni di servizi, oggetto di tutela in via primaria.
Pertanto, “Va data risposta negativa al quesito sull’applicabilità dell’art. 87, comma 4, d. lg. 163/2006 alle concessioni di servizio e alla necessità che i concorrenti specifichino – in sede di offerta ed a prescindere da una richiesta esplicita della lex specialis di gara – i costi della sicurezza c.d. “aziendali”.
Nella pronuncia in epigrafe, il collegio campano riporta la seguente massima: “Mediante la concessione di servizi la pubblica amministrazione trasferisce ad altro soggetto la gestione di un servizio, che la medesima potrebbe direttamente (ma non può o non intende) svolgere nei confronti di utenti terzi. Il concessionario – a differenza di quanto avviene nell’appalto di servizi (nell’ambito del quale l’Amministrazione riceve dal contraente una prestazione ad essa destinata, in cambio di un corrispettivo) – ottiene il proprio compenso non già dall’Amministrazione ma dall’esterno, ovvero dal pubblico che fruisce del servizio stesso, svolto dall’impresa con assetto organizzativo autonomo e con strumenti privatistici, come è usuale per i servizi alimentari, come quello in esame. Sul piano economico, il rapporto complessivo è dunque trilaterale, poiché coinvolge l’Amministrazione concedente (che resta titolare della funzione trasferita), il concessionario e il pubblico. Il concessionario utilizza quanto ottiene in concessione (nel caso specie: il servizio con l’utilizzo di spazi interni alla sede dell’ente pubblico) a fini legittimi di lucro, assumendo — come richiede il diritto europeo — il rischio economico connesso alla gestione del servizio, svolto con mezzi propri; per godere delle risorse materiali appartenenti all’Amministrazione, il medesimo normalmente corrisponde un canone e non riceve dall’Amministrazione alcun corrispettivo. In conformità all’art. 30, d. lg. 12 aprile 2006, n. 163, recante il c.d. Codice dei contratti pubblici, infatti, «la controprestazione [dell’Amministrazione] a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto [dato al concessionario] di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente [verso il pubblico] il servizio»” (Consiglio di Stato, sez. VI, 16/07/2015, n. 3571).