Il TAR Milano, con sentenza n. 2279 del 2018, ha disposto che l’irregolarità contributiva comporta l’automatica esclusione del concorrente dalla gara.
In particolare, la sentenza si pone all’interno del filone giurisprudenziale dominante, il quale, ritiene che la regolarità contributiva deve sussistere non soltanto al momento della partecipazione, ma deve permanere per tutta la durata della gara, senza soluzione di continuità e senza che possa assumere rilevanza una eventuale regolarizzazione o sanatoria successiva (Cons. St., ad. pl., 25 maggio 2016, n. 10; Cons. St., sez. V, 5 giugno 2018, n. 3384).
Nella stessa sentenza, il Collegio sottolinea innanzitutto che l’art. 38 dell’abrogato codice dei contratti pubblici (D.Lvo. n. 163/2006) escludeva dalla partecipazione alla gara i soggetti che avessero commesso violazioni gravi delle norme in materia di contributi.
Ricordava, inoltre, che per violazioni si intendevano quelle ostative al rilascio del DURC, senza alcuna altra distinzione, tant’è che l’indirizzo interpretativo della giurisprudenza dominante connetteva l’esclusione ad ogni violazione impeditiva al rilascio del documento unico di regolarità contributiva.
Ciò posto, il TAR ritiene che, in linea con la giurisprudenza dominante, la tesi difensiva del ricorrente, basata sul richiamo all’art. 8 D.M. nella versione originaria del codice non può essere accolta.
Secondo i giudici infatti, la soluzione esegetica proposta non può essere condivisa in quanto produrrebbe la conseguenza di consentire la partecipazione alle gare agli operatori privi di DURC, soltanto perché le loro condotte, comunque illecite, non rientrano tra le più gravi ipotesi previste dall’art. 8 del DM del 2015.
Tale atterraggio giuridico appare non solo illogico e paradossale, bensì in evidente contrasto con la normativa europea di cui, in particolare, all’art. 57 comma 2 della direttiva 2014/24/UE, ove è prevista l’esclusione dell’operatore in caso di omesso pagamento di contributi previdenziali senza alcuna distinzione.
Infine, è opportuno esporre come il Consiglio di Stato, sez. V, 2 luglio 2018, n. 4039, ritenga che il richiamo all’art. 8 è frutto di un mero refuso, privo perciò di portata normativa, sicché non esiste soluzione di continuità fra la disciplina attuale e quella originaria del codice in materia.
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