Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno pronunciato la sentenza n. 7756/17 riguardante i confini della responsabilità dell’appaltatore nel caso di rovina ovvero di danni arrecati ad un edificio o immobile.
La normativa di riferimento è l’art. 1669 c.c. che dispone la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente se nel corso dei dieci anni dall’esecuzione dei lavori si presentano pericoli di rovina o gravi difetti negli edifici o negli immobili per vizi del suolo o per difetti della costruzione, purchè ne venga fatta denuncia entro un anno dalla scoperta.
Il punto focale della sentenza è volta a dirimere quei conflitti interpretativi della norma, stabilendo se il suddetto confine sia esclusivamente per le opere di nuova costruzione oppure possa estendersi anche ai casi di ristrutturazione di opere già esistenti.
Il problema e la conseguente risposta positiva trovano adito allorquando sia rovinato o gravemente difettosa solo una porzione di un immobile o edificio originari. A conferma di ciò soccorre la lettera dell’art. 1996 c.c. che contempla con la locuzione “in parte” anche la possibilità di una ristrutturazione anche parziale.
Altresì i Giudici, prendendo in esame la pronuncia della Corte di Cassazione n. n. 22553/15, constatano che “l’etimologia del termine costruzione non necessariamente deve essere ricondotta alla realizzazione iniziale del fabbricato, ma ben può riferirsi alle opere successive realizzate sull’edificio pregresso, che abbiano i requisiti dell’intervento costruttivo”, pertanto anche l’appaltatore che interviene in un tempo successivo alla realizzazioni iniziale dell’opera mediante modificazioni o riparazioni è chiamato a rispondere a titolo di responsabilità ex art. 1669 c.c. allorchè tali siano in grado di incidere sensibilmente sugli elementi essenziali della struttura dell’edificio o su quelli secondari in modo da compromettere però la globale funzionalità dell’immobile stesso.
Il ragionamento delle SS.UU. verte soprattutto sulla cognizione dei “gravi difetti” dell’opera, i quali hanno portata delimitativa dei regimi dettati dagli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c.
Sono giunti a sconfinare l’ambito applicativo della norma ex art. 1669 anche al caso delle ristrutturazioni in ragione di una disamina logico-deduttiva di tali “gravi difetti” da cui si ricava un dato di fatto inconfutabilmente oggettivo secondo cui si deve guardare all’aspetto funzionale del prodotto conseguito, integrando così nei “gravi difetti” la possibilità di cambiarne alle esigenze lo stato.
Concludendo non sembra proprio possibile, anche in virtù del tenore letterale della norma, limitare la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c. ai soli casi di nuova opera, ma è ragionevole estenderla ai casi di danni e difetti successivi alla ristrutturazione anche degli elementi secondari alla struttura.