Inps condannata alla restituzione delle somme per le trattenute a seguito della modifica del trattamento provvisiorio

Con sentenza sentenza n. 2714/2012, la Corte dei Conti per la Regione Siciliana, su ricorso proposto da questo Studio Legale, ha condannato l’Inps alla restituzione delle somme che indebitamente aveva trattenuto a seguito di a seguito delle riliquidazione del trattamento pensionistico. Difatti, era emerso  un debito a carico della ricorrente di € 12.129,54, corrispondente alla differenza tra la pensione di reversibilità definitiva (pari a  € 21.514,09 annua lorda) e quella erogata nel periodo dall’1.05.1999 al 31.08.2006. Pertanto, l’Istituto previdenziale provvedeva al recupero di tale somma mediante trattenute mensili di € 356,75 da operarsi dall’1.09.2006 al 30.06.2009.

La Corte nel condannare l’Inps alla restituzione delle indebite trattenute, aderendo alla giurisprudenza espressa dalla sentenza delle Sez. riun. della  Corte dei conti(n. 7/2007/QM),  afferma il seguente principio di diritto:

Proprio in considerazione della indubbia rilevanza che ormai ha, nel nostro ordinamento, il principio dell’affidamento e dei principi affermati dalla legge n. 241 del 1990 in materia di conclusione del procedimento entro termini certi e prestabiliti,  allo scopo di contemperare il diritto–dovere dell’Amministrazione di procedere al recupero dell’indebito pensionistico con i suddetti principi, si afferma l’irripetibilità dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, una volta decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, per il consolidarsi della situazione esistente fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione”.

La corte, inoltre, specifica che  l’affidamento non si configura, in capo al pensionato, in maniera “automatica” e “presuntiva” alla scadenza del termine procedimentale previsto dalla legge n. 241 del 1990 ma con il protrarsi del tempo sulla base di una serie di elementi oggettivi e soggettivi, fra cui “anche” la scadenza del predetto termine procedimentale per l’adozione del provvedimento definitivo di pensione previsto dalla legge o dai regolamenti di attuazione.

Di seguito il testo integrale della sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA

IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI

Dott. Antonio NENNA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA  N.2714/2012

nel giudizio di pensione, iscritto al n. 46738 del registro di segreteria, depositato il 15 febbraio 2007, promosso

ad istanza di

T. P., rappresentata e difesa, giusta delega a margine dell’atto di ricorso, dall’Avv. Giuseppe Ribaudo, elettivamente domiciliato in  Palermo, via Mariano Stabile n. 241,

nei confronti di

  • INPS (ex INPDAP)
  • MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministro pro tempore

VISTI: il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e la legge 14 gennaio 1994, n. 20; la legge 21 luglio 2000, n. 205;

VISTI il ricorso e gli altri atti e documenti di causa;

UDITO, nella pubblica udienza del 3 ottobre 2012, l’Avv. Antonino Rizzo in rappresentanza dell’INPS; assente la difesa della ricorrente; non costituito il Ministero dell’Interno;

FATTO

La Sig.ra T. P. è vedova del dott. F. M. V. L., vice Prefetto deceduto in attività di servizio il 17.04.1999.

Dall’esame degli atti esistenti nel fascicolo processuale emerge quanto segue.

Con provvedimento ministeriale n. 20544 del 3.07.1999 veniva conferito alla sig.ra T. P. il trattamento provvisorio di reversibilità (modificato con provvedimento del 28.09.1999) della pensione di inabilità richiesta dal coniuge F. M. V. L. in data 13.04.1999 (poi deceduto il 17.04.1999).

Con D.M. n. 4529 del 28.06.2000 veniva conferita alla sig.ra T. P. la pensione di inabilità reversibile definitiva  a decorrere dal 17.04.1999. Tuttavia, a seguito di esito negativo del prescritto controllo di legittimità della Corte dei conti (foglio di osservazioni  n. 467 del 3.07.2003), il Ministero dell’Interno annullava il D.M. n. 4529 del 28.06.2000 e, al fine di adeguarsi alle osservazioni dell’Organo di controllo,  emanava il D.M. n. 4722 del 10.09.2003, a sua volta non registrato dalla Corte dei conti (con rilevo n. 83 del 28.01.2004).

Pertanto con D.M. n. 2539 del 26.10.2004 veniva annullato anche  il D.M. n. 4722 del 10.09.2003 e determinato il definitivo trattamento pensionistico reversibile di inabilità, regolarmente registrato dalla Corte dei conti.

Con nota del 27.07.2006, l’INPDAP (oggi INPS) comunicava alla sig.ra T. che a seguito delle riliquidazioni del trattamento pensionistico per cui è causa era emerso un debito a suo carico di € 12.129,54, corrispondente alla differenza tra la pensione di reversibilità definitiva di cui al D.M. n. 2539 del 26.10.2004 (pari a  € 21.514,09 annua lorda) e quella erogata nel periodo dall’1.05.1999 al 31.08.2006. Con la medesima nota, l’Istituto previdenziale annunciava il recupero di tale somma mediante trattenute mensili di € 356,75 da operarsi dall’1.09.2006 al 30.06.2009.

Con ricorso depositato in data 15.02.2007, la sig.ra T. impugnava il provvedimento di recupero del credito previdenziale affermando che il trattamento pensionistico conferito con D.M. n. 4722 del 10.09.2003, annullato a seguito di rilievo della Corte dei conti e sostituito con D.M. n. 2539 del 26.10.2004, non poteva essere modificato poiché non è consentita la revoca o modifica di un provvedimento pensionistico per errore di diritto (come costantemente affermato dalla giurisprudenza contabile).

Pertanto chiedeva il ripristino del trattamento pensionistico conferito con il D.M. n. 4722 del 10.09.2003 il cui annullamento aveva determinato l’indebito e, in via subordinata, affermando l’assenza di dolo nella percezione del trattamento provvisorio, chiedeva il riconoscimento  della irripetibilità delle somme in più corrisposte dal 1.05.1999 al 31.08.2006 (pari a € 12.129,54) in quanto percepite in buona fede.

Con memoria del 25.01.2012 la ricorrente insisteva per l’accoglimento delle domande formulate in ricorso.

All’udienza dell’8.02.2012 il giudizio veniva dichiarato interrotto per soppressione dell’INPDAP ai sensi della legge n. 214 del 22.12.2011.

Con atto depositato il 3 aprile 2012 la ricorrente riassumeva il processo interrotto, ribadendo le conclusioni già rappresentate nell’atto introduttivo.

Con memoria depositata il 21.09.2012 l’INPS (ex INPDAP) comunicava che l’indebito previdenziale era stato generato dalla necessità per il Ministero dell’Interno (dopo una prima riliquidazione di un provvedimento del 3.7.1999 che conferiva un trattamento pensionistico provvisorio pari a 20.536,54 euro annui lordi che venivano aumentati, con provvedimento, sempre provvisorio,  del 28.09.1999, a euro 23.170,83 annui lordi) di procedere alla riliquidazione della conferita pensione definitiva (provvedimento del 28.06.2000 che conferiva una pensione definitiva pari a euro 23.163,50 annui lordi ridotti a euro 21.514,09 annui lordi con provvedimento del 26.10.2004) a seguito di esito negativo del prescritto controllo successivo di legittimità della Corte dei conti. Pertanto, nel caso di specie, secondo la stessa giurisprudenza della Corte dei conti, risultava non invocabile l’art. 203 del D.P.R. 1092/1973 circa la inammissibilità della revoca o modifica di un provvedimento pensionistico per errore di diritto e anche il recupero disposto doveva ritenersi pienamente legittimo. Chiedeva pertanto il rigetto del ricorso e, in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda inerente l’irripetibilità delle somme asseritamente indebitamente percepite, l’INPS chiedeva la condanna del Ministero dell’Interno, in via di rivalsa (essendo tutti i provvedimenti di liquidazione/riliquidazione a quest’ultimo riferibili ed essendo l’ente previdenziale mero ordinatore secondario di spesa). Al riguardo chiedeva un rinvio dell’udienza e la fissazione di un termine in favore del predetto Ministero per integrare le proprie difese.

Alla pubblica udienza del 3.10.2012, l’Avv. Antonino Rizzo, in rappresentanza dell’INPS, reiterava le conclusioni rassegnate in atti.

La causa veniva, quindi, posta in decisione.

DIRITTO

L’odierno giudizio concerne la richiesta di ripristino del più favorevole trattamento pensionistico definitivo conferito prima con D.M. n. 4529 del 28.06.2000 e poi con il D.M. n. 4722 del 10.09.2003, entrambi annullati a seguito di successivi rilievi della Corte dei conti e (il D.M. n. 4722/2003) infine sostituito con D.M. n. 2539 del 26.10.2004 (regolarmente vistato e registrato dalla Corte dei conti) nonché la irripetibilità di un indebito previdenziale (€ 12.129,54) originato dalla determinazione del trattamento definitivo di pensione di reversibilità dopo che per un lungo lasso di tempo (dall’1.05.1999 al 31.08.2006) era stata erogata la pensione nella misura maggiore rispetto a quella risultata definitivamente spettante.

La prima domanda non è meritevole di accoglimento.

Con D.M. n. 4529 del 28.06.2000 veniva conferita alla sig.ra T. P. la pensione di inabilità reversibile definitiva a decorrere dal 17.04.1999. A seguito di esito negativo del prescritto controllo di legittimità della Corte dei conti (foglio di osservazioni  n. 467 del 3.07.2003) il Ministero dell’Interno annullava il D.M. n. 4529 del 28.06.2000 e, al fine di adeguarsi alle osservazioni dell’Organo di controllo,  emanava il D.M. n. 4722 del 10.09.2003, a sua volta non registrato dalla corte dei conti (con rilevo n. 83 del 28.01.2004).

Quindi con D.M. n. 2539 del 26.10.2004 veniva annullato anche  il D.M. n. 4722 del 10.09.2003 e determinato il definitivo trattamento pensionistico reversibile di inabilità, regolarmente registrato dalla Corte dei conti.

Pertanto il provvedimento pensionistico di cui la ricorrente chiede il ripristino (D.M. n. 4722 del 10.09.2003) è stato annullato  e sostituito con altro (D.M. n. 2539 del 26.10.2004) emesso al fine di dare riscontro alle osservazioni mosse in sede di controllo successivo di legittimità della Corte dei conti (con rilievo n. 83 del 28.01.2004), così come il precedente D.M. n. 4529 del 28.06.2000.

Orbene nel caso di specie non sono invocabili gli artt. 203 e ss. del D.P.R. n.1092/1973 circa la inammissibilità della revoca o modifica di un provvedimento pensionistico per errore di diritto in quanto il provvedimento pensionistico soggetto a controllo successivo di legittimità della Corte dei conti ex art. 166 della legge n. 312/1980, pur immediatamente efficace, non è provvedimento definitivo ai fini dell’irripetibilità di cui all’art. 203 e ss. citati.

<In proposito va osservato, infatti, che i decreti di trattamento pensionistico soggetti al controllo successivo della Corte dei conti ed immediatamente efficaci ai sensi dell’art. 166 della legge n. 312 del 1980 sono definitivi in quanto concernono un trattamento definitivo (non provvisorio) di pensione, ma tuttavia, in pendenza del procedimento di riscontro successivo, ed in relazione all’eventuale negatività del suo esito, non possono anche ritenersi compiutamente definitivi nel senso richiesto per l’applicabilità degli artt. 203 e ss. e segnatamente dell’art. 206 del DPR 1092/1973, non potendosi ritenere sottratti all’originaria disponibilità negoziale dell’Amministrazione che li ha emessi e quindi al potere di questa di rettificarli o ritirarli del tutto con effetto ex tunc> (Sez. Giur. Friuli Venezia Giulia, sentenza n.12/2007).

E ancora: <Invero, “i decreti di trattamento pensionistico, soggetti al controllo successivo della Corte dei Conti e immediatamente efficaci in virtù dell’art. 166 della legge n. 312 del 1980, sono definitivi in quanto concernono un trattamento definitivo (non provvisorio) di pensione, ma, in pendenza del procedimento di riscontro o in relazione all’eventuale negatività del suo esito, non possono ritenersi sottratti all’originaria disponibilità negoziale dell’Amministrazione che li ha emessi e quindi al potere di questa di rettificarli o ritirarli del tutto con effetto ex tunc; ne discende che, in tali ipotesi, non può trovare applicazione l’art. 206 del T.U. n. 1092 del 1973 bensì i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di recupero di somme indebitamente riscosse (quali la buona fede del percepiente, il protrarsi nel tempo dell’erogazione, la presunzione dell’impiego delle somme ai bisogni fondamentali, che il recupero non costituisca per l’Amministrazione un atto assolutamente vincolato)” (Sez. Giur. Lazio, sentenza n. 1378/1997)> (Sez. Giur. Campania, sentenza n. 1969/2011).

La seconda questione attiene invece alla legittimità del recupero della differenza tra l’importo della pensione provvisoriamente erogata e l’importo della pensione definitiva.

Sul punto  il ricorso è fondato e, come tale, merita accoglimento.

Ai fini della soluzione della vertenza assume rilievo, come riconosciuto anche nell’autorevole interpretazione resa dalle SS.RR. di questa Corte con la sentenza n. 7 del 7.8.2007, (anche) la valutazione degli effetti che, nell’ambito del procedimento di liquidazione della pensione definitiva, si irradiano dall’operatività della legge 7 agosto 1990 n. 241.

Proprio in considerazione della indubbia rilevanza che ormai ha, nel nostro ordinamento, il principio dell’affidamento e dei principi affermati dalla legge n. 241 del 1990 in materia di conclusione del procedimento entro termini certi e prestabiliti, le Sezioni Riunite della Corte dei conti, allo scopo di contemperare il diritto–dovere dell’Amministrazione di procedere al recupero dell’indebito pensionistico con i suddetti principi, pervennero, con la ricordata sentenza n. 7/2007/QM, ad affermare l’irripetibilità dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, una volta decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, per il consolidarsi della situazione esistente fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione (cfr. Corte dei conti, Sez. riun., n. 7/2007/QM).

Tuttavia con la decisione n. 2/2012/QM, le SS.RR. hanno rivisitato i termini della questione e affermato che <<la configurazione dell’affidamento non può identificarsi “solo” con la scadenza del termine procedimentale previsto dalla legge n. 241 del 1990 e dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, fermo restando che tale circostanza – e cioè, la scadenza del termine procedimentale per l’adozione del provvedimento definitivo di pensione – ben può assurgere ad uno degli elementi attraverso i quali l’affidamento può formarsi e consolidarsi nel tempo, ricorrendo comunque gli altri elementi necessari alla sua configurazione>>. Pertanto <<l’affidamento del percipiente che può legittimare, nel ricorso delle altre circostanze, l’irripetibilità dell’indebito da parte dell’amministrazione, non si configura, in capo al pensionato, in maniera “automatica” e “presuntiva” alla scadenza del termine procedimentale previsto dalla legge n. 241 del 1990 e dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, e “solo” al verificarsi di tale circostanza, ma si configura con il protrarsi del tempo sulla base di una serie di elementi oggettivi e soggettivi, fra cui “anche” la scadenza del predetto termine procedimentale per l’adozione del provvedimento definitivo di pensione previsto dalla legge o dai regolamenti di attuazione>>.

Quindi <<Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’amministrazione del diritto – dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria. Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo>>.

Orbene tenendo conto dell’orientamento manifestato dalle SS.RR. di questa Corte dei conti con la menzionata decisione  n.2/2012/QM, le condizioni di irripetibilità possono, nell’odierno giudizio, reputarsi sussistenti.

Tutto ciò considerato, deve essere riconosciuto, nel caso di specie, il diritto della ricorrente alla ritenzione degli importi indebitamente erogati.

Deve essere altresì riconosciuto il diritto della medesima alla restituzione delle somme ritenute in esecuzione del provvedimento impugnato maggiorate degli accessori.

In forza delle superiori statuizioni, l’I.N.P.S. (ex I.N.P.D.A.P.) deve essere condannata al pagamento in favore della ricorrente degli importi riconosciuti dovuti, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria da liquidare secondo la regola dell’assorbimento, nel senso che l’importo dovuto a titolo di interessi va comunque portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ripiano del maggior danno da svalutazione; quest’ultima va calcolata  alla stregua degli indici ISTAT ex art. 150 disp. att. c.p.c. rilevati anno per anno da applicare all’indennità  spettante dalla insorgenza del diritto  fino al soddisfo.

Non può essere accolta la richiesta dell’INPS di condanna del Ministero dell’Interno, in via di rivalsa, previo rinvio dell’udienza di merito e con la fissazione di un termine in favore del Ministero perché questi possa integrare le proprie difese.

Innanzitutto, conformemente all’indirizzo giurisprudenziale dominante, ritiene questo Giudice che la distinzione tra ordinatore primario e secondario di spesa non assuma alcuna rilevanza esterna, afferendo essa esclusivamente al riparto interno di competenza tra apparati della pubblica amministrazione, comunque costituenti, nel loro complesso, la figura di obbligato passivo (cfr. Corte dei Conti sez. 3^ appello, n. 175/2001, Corte dei Conti sez. Friuli n. 335/2005).  Nel caso di specie sussiste un concreto interesse a contraddire, ex art. 100 c.p.c., in capo all’INPDAP (ora INPS), sia in quanto esclusivo soggetto promotore, per previsione normativa, della relativa procedura recuperatoria, sia per i conseguenti propri adempimenti che scaturirebbero da un eventuale accoglimento della domanda di irripetibilità dell’indebito.

Inoltre sulla questione della rivalsa vi è un interesse solo ipotetico dell’INPS (ex INPDAP): allo stato non vi sono evidenze del fatto che l’exAmministrazione datrice di lavoro dell’odierna ricorrente si opporrà alla richiesta dell’Istituto previdenziale di rifondere le somme eccedentariamente corrisposte.

Dunque, difetta la condizione dell’azione richiesta dall’art. 100 c.p.c. dell’interesse concreto ed attuale che postula l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice.

Secondariamente, poi, l’eventuale approfondimento della questione della rivalsa finirebbe per ostacolare la celere definizione della controversia, involgendo, peraltro, profili di non immediata rilevanza per la ricorrente.

Infine, non trascurabile è pure la circostanza che la domanda di condanna per rivalsa non è corredata da una compiuta ed esaustiva esposizione delle ragioni di fatto su cui è fondata.

Pertanto, ove l’INPS reputasse sussistenti le condizioni per esercitare detta azione, potrà, constatata l’indisponibilità dell¹Amministrazione ritenuta responsabile dell’indebita erogazione a rifondere spontaneamente gli importi eccedentariamente erogati alla pensionata, instaurare un autonomo giudizio innanzi a questa Corte,  ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.P.R. 8/8/1986, n. 538 (Cass. SS.UU., Sent. n. 23731 del 16/11/2007).

Sussistono giusti motivi per compensare, integralmente fra le parti, le spese del giudizio.

PQM

La Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana in composizione monocratica, in funzione di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, assorbite le ulteriori questioni

– rigetta la richiesta di ripristino del trattamento pensionistico conferito prima con D.M. n. 4529 del 28.06.2000 e poi con il D.M. n. 4722 del 10.09.2003, entrambi annullati a seguito di successivi rilievi della Corte dei conti e (il D.M. n. 4722/2003) infine sostituito con D.M. n. 2539 del 26.10.2004;

– dichiara irripetibili le somme indebitamente percepite;

– condanna l’INPS (ex INPDAP) alla restituzione delle somme eventualmente trattenute maggiorate di interessi e rivalutazione da computarsi, avendo riguardo alla regola dell’assorbimento, nel senso che l’importo dovuto a titolo di interessi va comunque portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ripiano del maggior danno da svalutazione; quest’ultima va calcolata alla stregua degli indici ISTAT ex art. 150 disp. att. c.p.c. rilevati anno per anno da applicare all’indennità  spettante dalla insorgenza del diritto  fino al soddisfo.

Spese compensate.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2012.

                         IL GIUDICE

               F.to Dott. Antonio Nenna

 

Depositata in Segreteria nei modi di legge.

Palermo, 03 Ottobre 2012.

Pubblicata il 08 Ottobre 2012.

 

 

28 Maggio 2013

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