ll CGARS, con sentenza n. 32 del 2022, ha ribadito che i protocolli di legalità o di integrità, stipulati ai sensi dell’art. 1, comma 17, l. n. 190 del 2012, configurano specifiche cause di esclusione dalla procedura di gara, essendo idonei a integrare il catalogo tassativo delle cause di esclusione contemplate dal d.lgs. n. 50 del 2016. Il Collegio ha chiarito, inoltre, che nei patti di integrità, gli obblighi comportamentali, pur trovando la propria fonte nella clausola di leale collaborazione e nel principio di buona fede, oltre che nella normativa antimafia e dei contratti pubblici, sono circostanziati in modo tale da rendere agevole il relativo accertamento.
L’assunzione volontaria non solo degli specifici doveri comportamentali ivi previsti ma anche della sottoposizione alle conseguenze sfavorevoli ivi indicate, infatti, consente all’Amministrazione di esercitare con agilità i poteri di accertamento e i poteri di irrogazione delle conseguenti sanzioni.
Il C.G.A.R.S. ha proseguito distinguendo la disciplina prevista dall’art. 1341 c.c. in relazione alle clausole vessatorie dai patti di integrità. Questi ultimi, infatti, si inseriscono nel rapporto di diritto pubblico che si crea fra la stazione appaltante e il partecipante alla gara, individuando specifiche fattispecie “sanzionatorie” nell’ambito di un procedimento che si sviluppa con le garanzie tipiche del procedimento amministrativo, sicché viene meno la tutela della parte debole (del rapporto contrattuale), atteso che tutta la disciplina del procedimento amministrativo è volta ad assicurare la valorizzazione dei partecipanti al procedimento, così sostituendo la tutela preventiva (e formale) della specifica sottoscrizione con una più pregnante forma di apprezzamento della posizione privata.
Con specifico riguardo alle censure mosse dagli appellanti alla sentenza di primo grado, il Collegio ha accolto i motivi d’appello nei termini di cui segue. I giudici d’appello hanno ritenuto fondata la doglianza con la quale è stata dedotta l’erroneità della sentenza per non avere dichiarato inammissibile il primo mezzo contenuto dei secondi motivi aggiunti (violazione del patto di integrità), per la sussistenza di attività riservata all’Amministrazione, con conseguente preclusione per il giudice amministrativo a sostituirsi ad essa. La fattispecie della violazione del patto di integrità presuppone infatti la titolarità in capo alla stazione appaltante del potere di valutazione della riferibilità di determinate condotte al perimetro espulsivo ivi previsto. Richiamando giurisprudenza consolidata (CGUE., sez. IV, 19 giugno 2019, in C-41/18; Cons. St., Ad. Plen., n. 16 del 2020), il C.G.A.R.S. ha ribadito che il giudice amministrativo non può decidere direttamente sulla ricorrenza di un caso di esclusione facoltativa (quale quella derivante dal patto di integrità), disponendo direttamente per sentenza l’esclusione, se questo non è stato prima valutato dall’Amministrazione, ma può solo rimettere la relativa valutazione all’Amministrazione medesima.
Il Collegio si è pronunciato altresì, in maniera analoga, sulle fattispecie escludenti di cui all’ art. 56, comma 8, all’art. 59 e all’art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016 nel senso che: a) l’accertamento del concretizzarsi della fattispecie escludente deve essere compiuto dalla stessa Amministrazione, non configurandosi, così come dedotto dalle parti appellanti, un’ipotesi di esclusione automatica (Cons. St., Ad. Plen., n. 16 del 2020); b) l’Amministrazione è tenuta a valutare in concreto la ricorrenza del presupposto, cioè della condotta corruttiva, concussiva, di abuso o comunque collusiva dei partecipanti alla gara, e il collegamento delle condotte penalmente rilevanti con le offerte presentate e in genere con la gara.