Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, ha pronunciato la sentenza n. 139/18 con la quale ha chiarito importanti aspetti concernenti, nell’ambito di una gara di appalto, la revoca in autotutela da parte della stazione appaltante di provvedimenti che determinino il venir meno dell’aggiudicazione da parte della appaltatrice.
La disposizione normativa di riferimento è l’art. 21 – quinquies L. n. 241/90 che disciplina proprio la materia della revoca dei provvedimenti.
La questione si snoda attraverso la disamina dei motivi che portino a tale determinazione. Invero, i giudici hanno avuto modo di chiarire che qualunque censura ed impugnativa a tal proposito non troverebbero sorti positive nel caso in cui i motivi riguardassero circostanze economiche e finanziarie. A ben vedere, anche nel rispetto dei principi di economicità e buon andamento della pubblica amministrazione, “la carenza originaria o sopravvenuta della copertura finanziaria rappresenta una valida ragione per disporre la revoca dell’affidamento di un appalto pubblico, anche all’indomani della stipula di quest’ultimo e, quindi, a fortiori lo è, allorquando – come, appunto, nella specie – il contratto non sia stato ancora concluso, posto che l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4809/2013; Sez. V, n. 6406/2014; n. 2013/2015; n. 1599/2016; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, n. 5875/2017; Sez. VIII, n. 2263/2010)”.
Peraltro, dette eventuali censure ed impugnative, non troverebbero avallo nelle decisioni del giudice adito, in quanto, si tratterebbe di “determinazioni di revoca in cui la valutazione dell’interesse pubblico consisterebbe in un apprezzamento discrezionale non sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, salvo che non risulti viziato sul piano della legittimità per manifesta ingiustizia ed irragionevolezza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, n. 1646/2012; Sez. I, n. 1897/2010)”.
L’ipotesi che potrebbe verificarsi a favore del destinatario della revoca subita consisterebbe nel risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. per violazione delle regole di correttezza e buona fede nelle trattative, a nulla rilevando l’ obbligo di concludere un contratto, ma solamente il comportamento della stazione appaltante nella fase di formazione della volontà contrattuale. Invero, “In base ai principi civilistici in materia di responsabilità in contrahendo, applicabili anche alle pubbliche amministrazioni, perché possa parlarsi di violazione del dovere di correttezza e di buona fede che deve sostenere le trattative precontrattuali ex art. 1337 c.c. devono ricorrere i seguenti presupposti: I) che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l’affidamento nella conclusione del contratto; II) che una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative dell’altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli: III) la violazione della buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca fra le parti (Cass. Civ., n. 14188/2016)”. Soddisfatti questi requisiti, la parte può ottenere il risarcimento del danno che vada ad assorbire l’indennizzo previsto dall’art. 21 – quinquies L. n. 241/90.
APPALTI – Distinzione tra requisiti di partecipazione e di esecuzione nelle gare pubbliche: implicazioni per l’esclusione e la decadenza dell’aggiudicazione
Il TAR Piemonte, di Torino, con la sentenza n. 1058/2024, dispone che la regolazione dei requisiti di esecuzione va rinvenuta nella lex specialis, con la