La terza sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 431 del 2017, si è espressa sulla questione che riguarda i chiarimenti resi dalla stazione appaltante, in particolare soffermandosi sulla loro legittimità piuttosto che sulla loro efficacia ed in generale sulle modalità, se possibili, di impugnazione.
I giudici di Palazzo Spada hanno avuto modo di chiarire che il dettaglio interpretativo del chiarimento non è immediatamente suscettibile di impugnazione quando la stazione appaltante non modifica né integra il bando, né altera il contenuto ma semplicemente apporta, per l’appunto, chiarimenti di carattere interpretativo in modo da rendere pienamente comprensibile ciò che già era prescritto in modo non intellegibile dalla lex specialis circa i requisiti di ammissione alla gara.
A contrario, l’onere di immediata impugnazione può configurarsi nel momento in cui tale chiarimento interpretativo sia riferibile ad una clausola escludente.
Altresì, quando il chiarimento in esame non è di tipo interpretativo ma mira a modificare la disciplina della gara richiedendo ulteriori requisiti di ammissione o, quantomeno, diversi da quelli previsti dalla lex specialis di gara, non è suscettibile di immediata impugnazione perché non è configurabile un obbligo vincolante per la stazione appaltante né, tantomeno, per il privato non essendo definibile quale elemento preclusivo della partecipazione alla gara.
I giudici chiariscono che la valutazione del chiarimento rileva ai fini della legittimità e non già ai fini della valutazione di lesività.
Ciò che preme sottolineare è che non deve essere confusa l’efficacia con la legittimità: i chiarimenti, essendo mere dichiarazione di intenzioni, non possono sottendere ad una efficacia tale da potere produrre effetti giuridicamente rilevanti, pertanto non se ne può predicare la lesività.