Il Tar Toscana, con sentenza n. 231/2017, stabilisce che, in sede di gara pubblica, la “ clausola sociale” di cui all’art.50 del D. Lgs. 50/2016 deve conformarsi ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza risultando, altrimenti, lesiva della concorrenza e della libertà d’impresa.
I Giudici, confermando l’orientamento espresso dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 1255 del 2016, asseriscono che l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alla dipendenza dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante.
L’art. 50 del Codice degli Appalti, infatti, pur contendo la specifica previsione del “possibile” inserimento nei bandi di gara della suddetta clausola al fine di “promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”, non comporta comunque alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato, in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla recedente impresa o società affidataria.
Specifica il Collegio che, la “stabilità occupazionale” cui fa riferimento la norma in esame, deve essere “promossa” e non rigidamente imposta e comunque deve essere armonizzata con i principi europei della libera concorrenza e della libertà d’impresa, così da escludere un rigido obbligo di garanzia necessaria della stabilità.