Sulla revoca dell’aggiudicazione degli appalti pubblici

Il  Consiglio di Stato,  con la sentenza n. 5026/2016, chiarisce i presupposti, i contenuti e le finalità dell’istituto della revoca nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, delimitando in particolare, il potere di autotutela della pubblica amministrazione, esercitato in applicazione dell’art. 21 quinques l. 241/90.

In particolare, il Collegio svolge alcune importanti considerazioni sulla revoca in generale [disciplinata dall’art. 21-quinques l. n. 241 del 1990 come modificato dall’art. 25, comma 1, lettera b-ter), l. n. 164 del 2014], che viene definita come lo strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc, di un atto ad efficacia durevole, in esito a una nuova (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia.

In particolare, i presupposti per il suo legittimo esercizio possono consistere, anche alternativamente: nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto che deve essere imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, o nella rinnovata (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico originario (eccetto che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici).

Il potere di revoca, che è connotato da un’ampia discrezionalità, deve comunque tenere in adeguata considerazione le esigenze di tutela connesse al legittimo affidamento ingenerato nel privato danneggiato dalla revoca e all’interesse pubblico della certezza dei rapporti giuridici costituiti dall’atto originario.

Pertanto, l’amministrazione al fine di revocare il provvedimento è tenuta a rispettare le seguenti regole: “a) la revoca deve essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare; b) non è sufficiente un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell’atto originario; c) le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell’atto originario; d) la motivazione della revoca dev’essere profonda e convincente nell’esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell’interesse pubblico, ma anche la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole”.

Premesso un tanto sull’istituto della revoca in generale, il collegio passa all’analisi delle peculiarità della revoca nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica, premettendo innanzitutto che essa resta impraticabile dopo la stipula del contratto d’appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso (Cons. di St., Ad. plen., 29 giugno 2014, n.14), mentre, prima del perfezionamento del documento contrattuale, l’aggiudicazione è pacificamente revocabile (ex multis Cons. St., sez. III, 13 aprile 2011, n.2291).

Inoltre, per ciò che concerne “ la procedura di evidenza pubblica”, il ritiro di un’aggiudicazione è legittima solo in caso di sopravvenute e particolarmente consistenti ragioni di interesse pubblico, stante che, appare meritevole di  tutela il legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha diligentemente partecipato alla gara ed esige, quindi, “una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi” (Cons. St., Sez. V, 19 maggio 2016, n. 2095).

Pertanto, per legittimare il provvedimento revoca, il ripensamento dell’amministrazione, deve fondarsi sulla sicura verifica dell’inidoneità della prestazione descritta nella lex specialis a soddisfare le esigenze contrattuali che hanno determinato l’avvio della procedura. L’aggiudicazione può essere validamente rimossa solo nell’ipotesi eccezionale in cui una rinnovata istruttoria abbia rivelato l’assoluta inidoneità della prestazione, inizialmente richiesta dalla stessa amministrazione, a soddisfare i bisogni per i quali si era determinata a contrarre.

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