La prima sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania ha pronunciato la sentenza n. 1499/2017 che pone solide e precise basi con riferimento al confine dell’emissione dell’informativa antimafia prefettizia.
Più precisamente, la questione attiene alla possibilità di emettere detta informativa, ed inficiare dunque la partecipazione di una società ad una gara di appalto, mediante decreto penale di perquisizione locale e personale, pur non essendo quest’ultimo annoverato tra i provvedimenti definiti dalle lett. a, b e c dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 159/2011.
I giudici affermano con fermezza che la succitata disposizione normativa, la quale non fa letteralmente riferimento al suddetto decreto quale condizione principale per potere emettere un’informativa antimafia, deve essere interpretata estensivamente in combinato con l’art. 91 dello stesso decreto legislativo, che legittima l’autonomo accertamento dell’autorità prefettizia sì da tenere in considerazione tutti quegli elementi rivelatori tali da essere in grado di ingenerare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un condizionamento mafioso in capo ad un’impresa che partecipa ad una gara pubblica.
Inoltre, i giudici chiariscono che è configurabile il reato di associazione di tipo mafioso con una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste piuttosto che l’accertamento della prova di un fatto, occorre valutare il rischio di inquinamento mafioso sulla base dell’ormai consolidato principio del “più probabile che non”, con la conseguenza che gli elementi posti a base dell’informativa possono essere non penalmente rilevanti o addirittura possono essere già stati oggetto di un giudizio penale terminato con assoluzione o proscioglimento.
Sulla scorta di un orientamento giurisprudenziale già consolidato, i giudici sostengono che non può essere vantata una situazione di eccesso di potere del prefetto, nell’emettere il suddetto decreto, se gli atti del procedimento siano congruenti e non siano carenti di effettivi contenuti, frettolosi o immotivati e, sostanzialmente, sindacabili nel loro valore indiziario, quand’anche, altresì, il provvedimento prefettizio contenga una motivazione curata nel dettaglio e sia ricca di contenuti, cioè non limitata ad elencare o a richiamare le risultanze procedimentali, con una puntuale rielaborazione concettuale (Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).